"Mussolini e la sifilide"

"Mussolini e la sifilide": diatriba diagnostica ancora oggi vivace. Anche in riferimento alla sua instancabile e spregiudicata "ars amatoria", numerose sono le fonti che attribuiscono al Duce la malattia. Qualche esempio: lo storico statunitense Ray Moseley cita documenti inglesi recentemente desecretati in cui il capo della polizia fascista Bocchini dichiara che il Duce soffrisse di una patologia psichica legata alla sifilide terziaria. Ed anche la severa patologia gastro-enterica di cui egli era affetto da anni, diagnosticata come ulcera duodenale, viene invece attribuita a lesioni sifilitiche degli organi interni dallo studioso irlandese Paul O'Brien, professore del Dipartimento di storia moderna del Trinity College di Dublino e primo studioso ad esaminare in modo completo la documentazione sanitaria sul Duce a Roma presso l'Archivio dello Stato (2002). La malattia però sarebbe stata tenuta rigorosamente nascosta per salvare l'immagine del personaggio. Secondo lo storico e giornalista Festorazzi il Duce avrebbe contratto la sifilide da giovane, in un postribolo svizzero, e, all'epoca della direzione dell'Avanti, "non faceva mistero con i suoi redattori dell’infezione luetica e d’abitudine si faceva accompagnare da uno di loro quando si recava dal medico che gli somministrava le iniezioni curative". Lo storico afferma anche: "documenti e testimonianze convergono a indicare che quella malattia venerea, troppo spesso negata e rimossa, era un congegno a orologeria che potrebbe aver ridotto la lucidità di analisi e il pieno autocontrollo". Ma Pier Luigi Cova, presente, nella qualità di perito settore unitamente a Caio Maria Caltabeni, alla autopsia di Mussolini (30.4.1945), smentisce vivacemente queste ipotesi poiché, a suo dire, non confermate dai reperti autoptici. Da sottolineare però che numerosi sono coloro che ritengono essere stato pilotato il documento necrosopico proprio per nascondere l' "innominabile malattia" e che l'autopsia stessa sia stata esperita non da veri esperti di necroscopia ma da chi non era interessato ad accertare cause di morte diverse da quelle dei colpi di mitra sparati in strada dai partigiani. Peraltro nelle relazioni del dottor Georg Zachariae, inviato da Hitler al capezzale del Duce negli ultimi anni di vita, si legge: "alla domanda se avesse mai avuto una infezione luetica, egli rispose di no, aggiungendo che si trattava di voci diffamatorie messe in giro per screditarlo". Da rilevare infine che reperti di indagini di laboratorio effettuate prima della morte avrebbero evidenziato negatività della reazione di Wassermann.